Di Gigi Proietti
su testi di Eduardo de Filippo, Bernardino Zapponi, Dino Verde, Kriton
Athanosoulis, Publio Ovidio Nasone...
Regia di Gigi Proietti
Con
Marco
Simeoli, Claudio Pallottini, Carlotta e Susanna Proietti
Andare a vedere
uno spettacolo di Gigi Proietti significa arrischiarsi a fare un giro
sulle montagne russe dell'anima, di quelle, anche, che mettono in
guardia i potenziali avventori cardiopatici.
Perchè ormai da
anni il Mandrake si diverte ad esplorare con la tecnica dell'attore
anche i sentimenti che essa può, sia nella sincera ricerca di un
rapporto con il pubblico, sia nel canagliesco (che simpatica canaglia,
che è!) esperire i trucchi più biechi della plurimillenaria arte della
recitazione, suscitare nei suoi ascoltatori.
In questo
intento, sempre preponderante è il piacere dell'ironia, dello
sberleffo, della musica, della memoria, intesa come memoria dell'Attore
ma anche come ricordo degli attori che lo hanno preceduto sul
palcoscenico e delle loro tecniche.
Ma una montagna
russa non sarebbe tale senza improvvise variazioni di ritmo e di velocità,
e come sempre al fracasso delle risate evocate con un ammicco, un tempo
teatrale, una barzelletta, una stupidaggine, un imprevisto, un aneddoto
e tanta ottima musica (eseguita peraltro dal vivo e con una voce che
sembra guadagnare smalto di anno in anno), segue la frenata esaltante
del silenzio, della voce nuda che riempie il teatro solo con le sue
vibrazioni, della poesia che solo lui è capace di farmi apprezzare,
dell'attore che con le sole armi del carisma, dell'intelligenza,
dell'anima, senza trucchi nè infingimenti crea un mondo.
Così, alla
partenza bruciante con l'atto unico di Eduardo Pericolosamente,
in cui, forse pericolosamente, Gigi ammicca agli stilemi del grande
napoletano (ah, lo sforzo titanico, il triplo salto mortale della
dizione, precisa, perfetta, non la patetica imitazione che ne fanno i
suoi colleghi, non il fastidioso cercare di arraffazzonarne la difficile
cadenza...) per discostarsene una volta evocata la sua presenza in
teatro, segue l'addirittura medianica capacità di riesumare quelli
dell'avanspettacolo; e senza un attimo di respiro si corre a perdifiato
tra scenette riadattate, canzoni, ricordi, carrettelle,
"caccole" a volontà, tanto che riesce difficile riprendere
fiato tra una risata e l'altra. Poi, a cavallo tra la fine del primo e
l'inizio del secondo tempo, improvvisa irrompe la Parola, pura e
semplice, forse il momento più difficile per il Mandrake, che
nell'occhio di bue, immobile se non con il volto, si produce in una
bellissima poesia di Kriton Athanasoulis (Testamento),
che era nel repertorio di Vittorio Gassman, e addirittura in silohuette,
solo corpo e voce, dona la sua sensualità a una poesia di Ovidio,
su cui si chiude il sipario.
Quando si
riapre, il Mandrake scalda il pubblico a colpi di Nina, e poi si
produce nel celeberrimo Fattaccio, incredibilmente rinunciando
all'effettaccio strappacore proprio quando era in certo qual modo
legalizzato, per comprimere tutta la rabbia e il dolore del suo
personaggio nell'occhio de bove e lasciarli esplodere, nel silenzio
quasi mistico del pubblico che assiste, nelle ultime frasi.
Poi di nuovo via
sull'onda del divertimento, della felicità, della gioia di vivere e di
recitare, fino al grandissimo finale della Dame aux Camelias, che
più lo replica e più semplice e perfetto diventa.
A quest'ennesima
impresa del Mandrake partecipano con autorità gli attori del
Laboratorio, Marco
Simeoli e Claudio Pallottini, e con sicurezza Carlotta e Susanna
Proietti, in rigoroso ordine alfabetico, che si producono nello swing
che Gigi tanto ama. Dream a little dream of me si giova della
voce potente di una Susanna infagottata in un vestitino a caramella che
enfatizza la melodia maliziosamente infantile; poi si produrrà nella
scenetta del cassamortaro assieme al padre. The man I love è il
brano scelto per Carlotta, che entra in scena come una dark lady di
altri tempi e ne esce come una ragazza dei nostri, che cerca una propria
strada musicale assieme al suo gruppo, i Lotta's, con il quale canta un
loro piacevole brano, Mentimi.
Una doverosa
menzione d'onore a Fabrizio Angelini, che en travesti fa una sapida
caricatura della Magnani, davvero efficacissima, e cura le coreografie
dello spettacolo, fatte di claquette e sgambettate senza pretese
particolari, come si conveniva all'avanspettacolo, le cui ballerine
erano spesso prese dalla strada; e ad Alida Cappellini, ormai da anni
complice del Mandrake nella ricerca di costumi fantasiosi e colorati che
nel caso specifico di questo spettacolo permettono al corpo di ballo di
trasformarsi in faraoni e portatori neri, a Carlotta di incarnare il
prototipo della dark lady, a Susanna e Fabrizio Angelini di aggiungere
al proprio personaggio la burineria di colori chiassosi che suscitano
immediata simpatia, e a Gigi di entrare nei panni di Eduardo e di
illuminare il cassamortaro con il solo ausilio di un meraviglioso
baschetto giallo.
Ma se il mio
imparziale (ah-ah!!!) parere non vi ha ancora convinto, date un'occhiata
alle