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Biografia - II parte |
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Nel 1976, venerdì 7 dicembre per la precisione, sfonda:
A
me gli Recita sotto la minaccia delle bombe che in quel periodo fioccavano in Italia, gioca con il pubblico a lanciare le lattine di Coca Cola per terra per fare rumore, manda a quel paese un medico che, chiamato dalla direzione del Teatro solo per constatare purtroppo l’avvenuto decesso di una spettatrice, ha il torto di confessargli di essere stato felice di avere avuto l’occasione di conoscerlo. Federico Fellini vedrà lo spettacolo per nove volte.
Trovata la sua cifra stilistica, maniacalmente perfezionata in altri esemplari (Come mi piace, Leggero leggero, Prove per un recital), se ne distaccherà occasionalmente senza mai trascurare tuttavia la vena sperimentale che si porta dietro da sempre. Per La commedia di Ghetanaccio, su testi di Gigi Magni, scrive le sue più belle canzoni. Perché è anche musicista (..."come tutti gli allievi di Gassendi"…), e vanno almeno ricordate la "Ballata di Pickwick", sigla di chiusura dell’omonimo circolo, e la "Canzone della chioccia", scritta per l’amico Gassman per il film Di padre in figlio. Nel frattempo cerca di trasferire le sue idee anche in televisione, senza incontrare il grande successo che gli arride sempre in teatro, fino al botto inimmaginabile di Rocca. Eppure, sono pregevoli esempi di televisione Fregoli (quando la fiction si chiamava ancora "sceneggiato originale"), Attore amore mio, Cyrano a Varadero, con la complicità di Gianni Minà, e soprattutto quello che secondo me è il migliore spettacolo televisivo in assoluto della storia della televisione: Fatti e Fattacci, 1975, di Roberto Lerici, regia di Antonello Falqui, con Ornella Vanoni, vincitore della Rosa d’Oro al Festival di Montreux. Curiosamente, gli capita anche di cantare in siciliano la Ballata della Baronessa di Carini nei titoli di testa dello sceneggiato omonimo. Scontento di vivacchiare in televisione (non ha mai amato sentirsi mediocre in un campo), lascia gli spettacoli televisivi nel 1990 accontentandosi di qualche ospitata in giro per talk-show quando si tratta di promuovere qualche spettacolo teatrale, iniziando invece una lenta marcia di avvicinamento al clamoroso successo di Rocca e dei suoi fratelli, prima con Un figlio a metà 1 e 2, poi con Italian Restaurant, in cui lavora con Nancy Brilli, entrambi per la regia di Giorgio Capitani. Il maresciallo Rocca vede la luce il 16 gennaio 1996, e diventa rapidamente una tale corazzata da indurre Pippo Baudo a chiederne la sospensione durante il Sanremo di quell’anno. Il resto è storia recente.
foto tratta da www.lorettagoggi.com Al decollare della carriera, comincia giustamente a trascurare il doppiaggio, cui ancora occasionalmente si dedica, con particolare preferenza per le creature fantastiche come i draghi (Draco in "Dragonheart", la cui voce originale era quella di Sean Connery; Cornelius e Devon in "La spada magica – alla ricerca di Camelot"), e i geni ("Aladdin") per la gioia delle nostre orecchie. Conquista anche un Nastro d’argento per il doppiaggio, magnifico, di "Casinò", prestando nuovamente la voce a Robert De Niro. Si dedica anche alla regia, sia teatrale con ormai numerosi esempi che in genere sorprendono i critici per la loro sobrietà, che televisiva (Villa Arzilla, 1990, e Un nero per casa, 1998). Sogna ancora di dirigere un film, dopo i tentativi da aiuto regista con Tinto Brass.
La botta è severa, ma presto il Mandrake riparte per una nuova avventura presso il Gran Teatro di Tor di Quinto, un teatro tenda, e lì vende la bellezza di oltre centomila biglietti per il primo spettacolo fuori del Brancaccio. Sul fronte privato, continua a vivere con Sagitta Alter, dalla quale ha avuto due figlie, Susanna e Carlotta, entrambe in qualche modo indirizzate sulle orme del padre, oggi anche sul palcoscenico insieme a lui. Ma com’è Gigi Proietti? Roberto Lerici diceva che è pieno di dubbi, di ripensamenti, di "non fa per me", ma che quando si impegna in un progetto ci si butta con tutte le scarpe; Enrico Vanzina dice che sorride molto perché è un uomo buono che guarda con indulgenza ai suoi simili; chi ha avuto la fortuna di studiare con lui dice che gli ha trasmesso il senso del gioco insieme ad una grande professionalità.
Una delle sue cose migliori è il rispetto che ha per tutto: se fa una regia lirica, non ne stravolge il senso inseguendo inutili sperimentalismi, se si esprime in un dialetto che non è il suo fa di tutto perché il suono sia almeno attendibile anche per chi quel dialetto lo parla per nascita, scusandosi sempre per le inevitabili imperfezioni. Se canta "Zappatore", la ritrasforma in quella bella canzone che è con un pudore che, se non lo si conosce, non ci si aspetta da lui. Se fa le prove di uno spettacolo e sbaglia, o ritiene di avere sbagliato, chiede scusa agli orchestrali prima di pregarli di ripetere il passaggio (esperienza personale). E' goloso di babà al rum, detesta gli gnocchi perché da piccolo stavano per ucciderlo, detesta le cravatte, fa collezione di strumenti musicali, fino a qualche anno fa era felice possessore di un sax tenore e un sax contralto inizio secolo, sei chitarre, una cornetta, un trombone e un flauto in ebano per banda, un mandolino napoletano dell’ottocento, un liuto e un pianoforte. Ha un vecchio maglione nero che nessuno può toccargli e che ormai gli arriva quasi alle ginocchia a furia di lavaggi. Si colloca politicamente a sinistra, ma da laico pensa che far ridere sia un dono di Dio e che sarebbe un peccato mortale non sfruttarlo. Gli piacciono Battisti e lo swing anni ’40; si è innamorato di Puccini quando ha fatto la regia di Tosca, ma il suo obiettivo classico è Mozart, che ha trionfalmente affrontato per l’Opera di Roma, raccogliendo a Piazza del Popolo ben ottantamila spettatori per Don Giovanni. E’ accesamente romanista. E’ moderatamente superstizioso, pensa che non ci sia nulla di male: la ritiene saggezza popolare, e pensa che per qualsiasi cosa esiste l’antidoto. Così, a parte l’italico scongiuro, prima di entrare in scena sputa tre volte per terra. Si è fatto anche togliere il malocchio due o tre volte, come dopo il Maresciallo Rocca, quando ha cominciato a sentirsi addosso troppi occhi. Però pensa di essere uno scettico prudente, che al momento opportuno non disdegna di cambiare strada se un gatto nero gliela attraversa. Scrive splendidi sonetti in romanesco, piccoli pezzi di teatro, di cui il più famoso è certamente La fiction, che forse presto o tardi raccoglierà in volume. Ha pubblicato un libro suo (Prove per un libro, ed. Comix), e scritto qualche prefazione per i libri altrui (Roma rugantina, di Grazia Valci, ed. Gremese). Gli piace la vita da lupo di mare, ed è stato anche possessore di una barca a vela, che ha rapidamente rivenduto dopo essersi svegliato ad Ostia all’ormeggio quando era convinto di essere in rotta per Ponza. Un difetto? Non lo chiedete a me... E’ il più grande di tutti. Se volete saperne di più dalla sua viva voce cliccate sul memoriale scritto di suo pugno per Gente Mese nel 1997, poco dopo il clamoroso successo della prima serie di Rocca. |