L’orchestra esordisce con i Salamini,
e chissà se gli accordi dissonanti che accompagnano in primis il
motivetto sono stati scritti da quel genio di Petrolini oppure decisi in
fase di arrangiamento dal Maestro Vicari che, in caso, merita egli stesso
l’appellativo di genio, poiché solo con essi ha svelato il manifesto
dello spettacolo e dell’intera poetica di Petrolini, riassunta sul retro
della locandina in omaggio all’ingresso del teatro: L’arte sta nella
deformazione.
Gigi, col regolamentare
"fumando" (Petrolini in fondo agiva in tempi di autarchia, e non
era permesso utilizzare parole straniere), puntualizza come nessuno abbia
pensato a celebrare i 70 anni dalla morte del grande autore, che
contrappone a Pirandello, e ci informa che il 1936 è stato un anno
veramente sfigato: sono morti Petrolini, indecentemente giovane, Fregoli,
e dulcis in fundo è nato Berlusconi.
Il primo brano è quello che dà il
titolo allo spettacolo, e potete vederlo anche su proveperunsito fino alla
fine del mese. Ciò che non potete vedere se non avete il biglietto, è il
fenomeno di possessione diabolica che si realizza quando, spento l’occhio
di bue nel quale finora Gigi si è infilato il costume da clown, nella
luce azzurrina di un passato che ritorna, la maschera perfetta di Ettore
Petrolini si materializza davanti agli occhi.
Poi il clown si allontana e la scena
si anima dei colori della vecchia Roma, oleografici (in fondo, perché no?
Il luogo comune diventa tale essendo trasmesso di generazione in
generazione, e alla fin fine "vox populi, vox Dei"), vivaci, i
monumenti di cartapesta sullo sfondo a contestualizzare la scena e a
sottolineare la distanza del popolino che tra essi vive inconsapevolmente
come i gatti, senza in fondo condividerne la grandezza. Ne approfitto per
un complimento sentitissimo allo scenografo, che ha utilizzato anche
pedane semoventi di grandissimo effetto, ed alla costumista.
In questa scena fa la sua entrata
Archimede che inanella, come capita agli ubriachi, strafalcioni esilaranti
e verità sacrosante, e a questo tipo di ciabattino filosofo, il più
anarchico dei personaggi presentati, Gigi fa irridere la retorica del
paese spaccato a metà, quella del nuovo che avanza, quella della
contrapposizione tra nord e sud, poiché non è semplicemente una commedia
di Petrolini che si ripropone qui, ma un modo di fare teatro sempre con un
occhio all’attualità e l’altro strizzato verso il pubblico a cercarne
la complicità. Non ha bisogno di fare nomi, Gigi, perché dire che il re
è nudo è prerogativa dei bambini e dei giullari.
Esaurita l’ubriachezza di
Archimede, Gigi esce dal personaggio per tornare sé stesso (è tutto
un entrà, uscì, entrà, uscì… certe corenti d’aria…) nella
divisa che ormai tutti conosciamo, si appoggia su uno sgabello, abbraccia
la chitarra e ne fa vibrare lo struggimento che in questo spettacolo si
ritaglia solo questo momento, riproponendo lo stornello che Puccini
utilizzò per la Cantata del Pastorello all’inizio del terzo atto di Tosca,
e una seicentesca canzone di carcerati in cui, sia pure a mezza voce,
ruggisce l’ira e la disperazione del leone in gabbia. E poi smitizza l’atmosfera
cupa che un attimo prima ha creato raccontando un celeberrimo aneddoto del
suo inizio di carriera che qui non vi svelo poiché tutta la sua
dirompenza sta nel racconto.
Il rapido intermezzo di una
"profonda" canzoncina introduce un brevissimo estratto dal
Nerone, e poi è il turno di Benedetto Buriana, bulletto di quartiere
prototipo dei tanti poveri ma belli che hanno affastellato la commedia all’italiana.
Gigi ritrova la caratterizzazione che ne aveva già proposto, ma gli anni
vi hanno poggiato forse un sottile strato di rassegnazione, un po’ come
è capitato al Fioretti Bruno della Mandrakata, contro il quale il
bulletto lotta da titano mentre si barcamena tra le tante che vorrebbero
mettergli le mani addosso (aggiungetemi pure alla lista, please).
Gastone entra in scena in mezzo a
fumi infernali, in silhouette contro lo sfondo rosso della perdizione: è
un personaggio diabolico, dice Gigi, del tutto privo di pietas (poi dirà
anche che è privo di pietà, ma pietas e pietà sono due concetti
diversi, e godo nel sentirgliene parlare, a volte vorrei partecipare a una
sua lezione solo per imparare qualcosa in più di quel tanto che appena
accenna), così negativo da costringere ogni sera il commendator Petrolini
a far precedere la rappresentazione della commedia da un attore che
prendesse le distanze dal personaggio.
Ma nonostante tutti i suoi sforzi per
convincerci dell’immoralità del personaggio, di cui invece è forse
profondamente innamorato, non riesce che a renderlo adorabile,
ridicolizzandone la dipendenza dalla cocaina, trasformandolo nell’acido
battutista che, fingendosi scemo, mette in burletta le velleità dei
cummenda che si alternano nel bordello in cui fa il magnaccia (in effetti
il brano della commedia che presenta è originariamente un dialogo in cui
il cummenda di turno sottolinea continuamente l’idiozia del personaggio,
forse incarnando il pensiero dell’autore; nella versione di questo
spettacolo si tratta di un monologo in cui Gastone non è l’imbelle
voluto da Petrolini, ma uno che, odiandoli per partito preso, mette alla
berlina l’ottusità dei potentucoli).
Peccato che il tempo di Gastone duri
veramente molto poco, per lasciare subito spazio all’amata musica
sudamericana, con quella Obsesiòn che fa ribollire le ossessioni
che ognuno di noi cova nel profondo, con il bellissimo tango argentino dei
cinque ballerini della compagnia, la cui coreografia addirittura esalta la
sensualità del movimento e della musica, che consente nel frattempo a
Gigi di rivestire i panni di Benedetto per i cinque finali cinque della
sua commedia. Straordinaria la consapevolezza del proprio corpo che ha
Gigi mentre si annoda in faccia un paio di pantaloni nel tentativo di
stirarli.
A questo punto la compagnia saluta e
se ne va. Per quanto mi riguarda, spicca tra gli attori che circondano
Gigi, nella parte della zia di Iole, …….. , capace di restituire, in
un ambito farsesco, la dignità ferita della donna brutta e anziana con
rapidi accenni commoventi, ben conscia che il suo ruolo è quello di
spalla. Di cuore, tutti i miei complimenti.
Gigi invece, da buon anfitrione, si
intrattiene ancora un po’ con i suoi ospiti, cui dona, tornando nei
propri panni, interrogandosi sul senso della parola
"volgarità", una barzelletta che nelle sue mani si trasforma,
come sempre, in una perfetta piccola sceneggiatura.
Gigi, il grandissimo contaminatore,
come sempre mette nel frullatore le cose che ama, e ce le serve come dolci
preziosissimi e rari, purtroppo estremamente rari: la sua leggerezza, la
sua intelligenza, il suo impegno, la sua musicalità (che gli consente,
anche se la voce necessita ormai di essere amplificata, di donare tanti di
quei colori alla più infima delle canzonacce da renderla esplosiva come
un quadro di Van Gogh, anche se tra di essi trapela ora qualche ombra
cavaraggesca), infine il suo desiderio di divertirsi divertendo.
Non so trovare le parole per
ringraziarlo di questo.