Sono gli spettacoli senza trama in
cui Gigi esprime la sua poetica di contaminazione teatrale sulle ali
leggere dell’ironia. Rappresentano il tentativo consapevole di
trasferire nel teatro popolare alcuni modi tipici del teatro di
avanguardia, alla ricerca di un nuovo linguaggio e di una nuova forma di
comunicazione non mediata dal regista tra l’attore, la sua memoria ed il
pubblico. Senza un attimo di noia, Gigi spazia da Petrolini a Shakespeare
passando per l’adorato Magni, lasciando filtrare tra le righe della
dissacrazione e della contaminazione di generi il disagio dell’attore,
con tutti i suoi vezzi e le sue nevrosi, lasciato solo a confrontarsi con
i grandi e con sé stesso. Tutto il repertorio di Gigi si forma in questi
spettacoli, che abbracciano l’arco di un trentennio: Amleto, la lezione
di sesso, la canzone delle cose morte di Petrolini (che ancora lo salva
quando gli chiedono di esibirsi nelle ospitate e non si è poi tanto
preparato) fanno parte del repertorio ormai classico, cui si sono aggiunti
negli anni maschere esilaranti come Pietro Ammicca, Toto (quello della
sauna) ed il vecchietto delle fiabe.
Il capostipite, A me gli occhi, cui
solo in un secondo momento è stato aggiunto il please, nasce
proprio al Teatro Tenda di Piazza Mancini, diretto da Carlo Molfese, un
esperimento tra i tanti dell’irrequieto Proietti, con l’ausilio dei
testi di Roberto Lerici, già frequentati durante le registrazioni di Fatti
e Fattacci (1975). Aveva anche due altri titoli alternativi, che poi non
furono usati: Generi Diversi e Non c’è Mahler. Quest’ultimo
titolo voleva ironizzare sul fatto che gli spettacoli che andavano per la
maggiore nei teatri pubblici avevano scoperto la musica di Mahler, che
perciò era diventata una bandiera dell’impegno. Dice Gigi: Perché
a forza di voler essere troppo colti, si finisce per essere ridicoli, si
finisce, per esempio, per utilizzare Mahler solo come sottofondo, si casca
insomma in una specie di convenzione intellettualistica nella cultura alla
moda, quanto, cioè, di più becero e vuoto di significato. In questo
nostro spettacolo c’è stata questa scelta che non era programmata, ma
facendolo, con Lerici ci siamo accorti di stare nel pieno di una proposta
al teatro italiano, una proposta autentica, che è proposta d’attore ma
potrebbe essere una proposta di linguaggio anche per altre cose, non
necessariamente solo per un recital. Cosa che "A me gli occhi"
non è mai stato… C’era insomma la voglia di trovare un linguaggio
tutto da palcoscenico, non letterario".
Molfese si ritrovò con un buco di
sei giorni nella sua programmazione per l’imprevisto forfait di una
compagnia, e Gigi propose il suo spettacolino, che già cominciava a
prendere forma allo Stabile dell’Aquila. Doveva restare sei giorni, ci
è rimasto quattro anni, sempre con il tutto esaurito, in un periodo nel
quale in Italia fioccavano le bombe. Una volta una telefonata anonima
informò che una bomba era nascosta nel teatro. Uno degli orchestrali, al
sentire la notizia, schizzò via come Shumacher non è mai riuscito a fare
dalla pole position, gli altri rimasero in teatro, sudando freddo, mentre
le forze dell’ordine setacciavano ogni anfratto tentando di non
allarmare il pubblico. Gigi impresse un ritmo forsennato alla
rappresentazione che finì molto presto. E per fortuna quella volta si era
trattato solo di uno scherzo.
Ma insomma, lo spettacolo divenne
rapidamente un trionfo: Federico Fellini, con il quale Gigi avrebbe poi
eseguito il doppiaggio di Casanova, si recò a vederlo nove volte;
Eduardo de Filippo, alla fine della rappresentazione cui aveva assistito
rischiando di mandare in tilt il suo interprete, si alzò in piedi al
momento degli applausi, si avvicinò al palcoscenico e baciò le mani di
Gigi. Poi andò a trovarlo in camerino. L’allora sindaco di Roma, Argan,
tra l’altro un importante critico teatrale, trascinò a vederlo tutto il
personale diplomatico americano di stanza a Roma, cosa che valse a Gigi
una lusinghiera critica nientedimeno che dal Newyorker. Lo stesso
Molfese tentò inutilmente di convincere Gigi a presentare lo spettacolo
negli Stati Uniti.
Man mano che le sue azioni salivano
presso il pubblico, la critica, che negli anni degli esperimenti lo aveva
molto amato, cominciò a maltrattare Gigi, accusandolo di tradimento. Ma
Gigi pensava che i problemi sociali non si dovessero risolvere sul
palcoscenico, luogo invece deputato alla conoscenza e alla discussione, e
la sua politica la faceva portando alla gente della periferia un po’ di
Shakespeare, un po’ di Petrolini, un po’ di jazz e di memoria storica.
A me gli occhi, please
rappresentò il primo esperimento di un nuovo genere di spettacolo nel
quale era l’attore ad interrogarsi sui mezzi e sul significato della sua
professione, senza rinunciare alla leggerezza dell’ironia. Ad esso
seguirono altri due spettacoli che lo completano e lo integrano: Come
mi piace (di cui, grazie alla sterminata raccolta teatrale di
ALESSANDRO, potete leggere le note
di regia, che corrispondono a tutta la poetica di Gigi,
tuttora in progress), con il quale si intendeva criticare il sistema teatrale
italiano, e Leggero Leggero, che ironizzava su tutti i vari ismi
che infestano il teatro (pirandellismo, goldonismo, minimalismo) e
rendeva chiaro per tutti che la voluta assenza di contenuti era di per sé
un contenuto. D’altro canto, presentando Leggero Leggero al
Sistina, il tempio istituzionale della commedia musicale italiana, Gigi
riconosceva l’ingresso nell’establishment dell’eversiva novità che
a suo tempo era stata A me gli occhi, please.
Roberto Lerici morì improvvisamente
d’infarto nel 1992, lasciando un attonito Proietti a confrontarsi con l’Italia
che cambiava e con i suoi dubbi d’attore. Gigi gli dedicò un quarto
spettacolo della serie, Prove per un Recital, con il quale ha
girato le piazze più importanti d’Italia dal 1996 al 2001, raccontando
e raccontandosi con un velo di malinconia in più, e inventando almeno due
personaggi indelebili: Giubileo, il barbone coltissimo soprannominato
Sciupenauer per via della magrezza, che rimprovera al mondo di non aver
capito che l’unico modo per riprendersi il proprio tempo è quello di
perderlo; e il vecchietto anonimo delle favole pornolaliche, creato in un’unica
prova, di getto, un pomeriggio in cui per fortuna c’era qualcuno che
prendeva appunti.
L’ultimo spettacolo della serie è Io,
Toto e gli Altri vintage, del 2002, con cui Gigi si è esibito
sul palcoscenico del suo teatro, in cui l’Attore, non
riconoscendo nel futuro le promesse che pure devono esserci, rivolge per l’ennesima
volta uno sguardo al passato, il suo passato nella fattispecie, per
cercarvi quelle idee che ancora non sono state sviluppate compiutamente e
dalle quali, forse, potranno nascere le proposte del domani.
Il testo integrale di quasi tutti i
brani più famosi si trova nel libro pubblicato dalla Comix "Prove
per un libro", dal quale inoltre sono tratte molte delle fotografie
di questa sezione.