La storia, rivisitata dalla cultura e
dalla sagacia di Luigi Magni, dei primi 244 anni di vita dell’Urbe, da
quando ancora non esisteva e i sacri colli erano abitati da figure
fantastiche e divisi dal Tevere, il dio Tiberino. Tutti interpretati da
Gigi, si avvicendano sulla mirabile scena rotante racchiusa in un
imponente cilindro nero, quasi un personaggio a sé, i sette Re e rapidi
personaggi di contorno come (in ordine di apparizione): lo stesso
Tiberino, Enea (che stavolta non è il protagonista e non fa neanche a
tempo ad approdare che già deve andarsene), Fauno Luperco (che esordisce
con un fulminante "So’ bbrutto, eh?"), il padre degli Orazi
(dal quale Gigi attingerà a piene mani per il vecchietto delle favole di
molti anni dopo) e Bruto Minore, fondatore della Repubblica (per il quale
forse si ispira al Pippo disneyano). Così scopriamo protostoria e
pettegolezzi sui sette re, conditi di stupende musiche e quadri da
commozione assicurata. Alla rinfusa, e soltanto seguendo il mio gusto
personale, ricordo la Foresta delle Camene dove Numa Pompilio faceva l’amore
con la ninfa Egeria (trovate questo mese la canzone che faceva parte del
quadro); l’intero segmento di Tullo Ostilio, di cui fa parte
anche il numerino del padre degli Orazi, che culmina con una splendida
morte in scena; il quadro finale sul ponte Sublicio di Anco Marzio; il
cambiamento impressionante che si produce nell’intera figura di Gigi nel
momento in cui Bruto smette i panni del cretino per indossare quelli del
rivoluzionario.
Un Must assoluto per tutti gli amanti
del teatro musicale, anche se non particolarmente appassionati di Gigi
Proietti.