Film
a episodi che inseguiva due obiettivi: in primis, dimostrare che non solo
i filmoni americani richiamano la gente al cinema anche d'estate, centrato
con un incasso superiore ai cinque milioni di euro a luglio; in secundis,
ben più ambizioso, voleva porsi nel solco ghignante della grande commedia
all'italiana. E qui vengono le dolenti note.
Perchè i referenti dichiarati
di Enrico e Carlo Vanzina, pur sempre i figli di Steno, che al centro di
quella grande stagione del cinema italiano sono stati cresciuti, sono Dino
Risi e i suoi Mostri, ma forse i tempi sono cambiati e forse sono
cambiati gli attori, e il massimo che riescono ad ottenere dal cast che,
pure, per questi nostri giorni mediocri può ritenersi stellare, è una
galleria di personaggi patetici in massima parte mutuati dalle
interpretazioni per lo più televisive che li hanno resi famosi, tutte
tormentoni e mossette. Penso naturalmente a Ezio Greggio, che ha costruito
una carriera su queste stupidaggini, ma anche a Lino Banfi che rispolvera
il suo pugliese macchiettistico e non perde occasione comunque per farci
vedere quanto è bravo a piangere, visto che ormai è stato sdoganato come
attore completo; e a Enzo Salvi, che non va oltre er Cipolla; e al bravo
Biagio Izzo, sempre costretto nella macchietta del gay quando avrebbe ben
altre possibilità espressive, come dimostra la scena della seduzione.
Non mi è del tutto chiaro se
trovi più angosciante l'idea che questi attorucoli siano gli attuali
epigoni non dico dei Totò (lo so da me che accostare il Principe a questo
piatto guittume è una bestemmia) o dei Gassman, ma dei Gianni Agus o dei
Carlo Campanini, i quali avrebbero in caso tutto il diritto di rivoltarsi
nella tomba; oppure l'idea che i Vanzina, che ritengo persone di gusto
(non dimentichiamo, please, che Enrico ha sceneggiato Febbre
da cavallo) abbiano dipinto il ritratto grottesco di ciò che
vedono nell'Italia di oggi, non diversamente da quanto fecero a loro tempo
i Risi, gli Scola, i Monicelli, gli Steno. In questo caso, il loro
specchio restituisce un'immagine della nostra nazione francamente
disperante, e se i critici italiani non avessero tanto la puzza sotto il
naso potrebbero anche classificare Un'estate al mare tra i film
drammatici. Rimane il fatto che per fare un film veramente grottesco (non
mi piace e non lo capisco, ma credo che l'Urlo,
per esempio, si possa definire tale) ci vogliono interpreti all'altezza,
oppure idee eversive che non mi pare siano proprie dei due fratelli, i
quali invece, hanno perseguito, a loro dire, la ricerca della farsa, del
divertimento di pancia, affidandosi purtroppo a comiciattoli mediocri
quanto i loro personaggi, impostici dall'industria televisiva.
In questo sfacelo, esperimento
nell'esperimento, il Mandrake non cerca la satira sociale, ma esplora le
possibilità di una ripresa teatrale al cinema: si affida all'esilarante Signora
delle Camelie, tratta da uno sketch di Dino Verde, che chiude il suo
spettacolo attuale, e i Vanzina, come per tutto ciò che riguarda la sua
partecipazione straordinaria, si limitano a regolamentare i movimenti di
macchina. E solo quando il Mandrake entra in scena infilando strafalcioni
terrificanti, finalmente si ride di gusto. E anche se Gigi recita in
souplesse, anche se ci si accorge chiaramente che la sua partecipazione
straordinaria è soltanto una marchetta estiva, anche se ha l'occhio al
portafogli più che all'arte della recitazione, anche così riesce a dare
al suo personaggio quel qualcosa che lo fa svettare su tutti gli altri.
Inutile dire che la massima
parte della critica è stata concorde e con la stroncatura del film e con
l'esaltazione dell'episodio del Mandrake, come potete scoprire leggendo le
critiche.