Gigi Proietti: Un nero per casa

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1998 Regia di Gigi Proietti

Con Eliana Miglio, Ludgero Fortes dos Santos, Cristiana Capotondi

La prima vera regia di Gigi per un film, altrettanto sperimentale di quanto lo era Villa Arzilla, come si può evincere dalla preferenza accordata alle inquadrature dall’alto, ben poco pratiche per lo spettatore, ma molto efficaci, che comunque rappresentano il "punto di vista di Dio", quale un regista di teatro non può mai apprezzare. La trama è semplicissima, ispirata dal celeberrimo "Indovina chi viene a cena": Valentina (Cristiana Capotondi), la figlia adolescente dell’architetto progressista Lorenzo Paradisi (Gigi), si innamora del vu’ cumprà Mory (Ludgero Fortes Dos Santos, visto recentemente in Stiamo bene insieme su Raidue), che si è spacciato per un principe africano. Finchè l’architetto e la moglie Patrizia (Eliana Miglio), tra l'altro amante dell'arte e della cultura africana, restano convinti che si tratti di un principe sono disposti ad abbozzare sul colore della pelle, pur con le mille difficoltà che comporta una novità così eclatante. Ma quando scopre il mestiere del futuro genero, Paradisi prima fa di tutto per impedire ai due giovani di rivedersi, poi si ricorda dei trascorsi giovanili nelle varie sinistre che si sono avvicendate in questo povero paese, e, dibattendosi nel travaglio di essersi appena scoperto razzista, fa di tutto perché si rivedano.

Anche questo piccolo, delizioso film da rivalutare, è stato preceduto da polemiche sterili. All’epoca, polemizzò sui giornali (la Repubblica, in particolare), la giornalista Barbara Palombelli, coniuge di Francesco Rutelli e madre adottiva di un bambino di colore, che, senza neanche aver visto il film, decise che il semplice titolo era offensivo, che in casa sua l’espressione utilizzata indicava fastidio. A me sembrava e sembra tuttora evidente che si trattasse di un piccolo gioco di parole sul nome di un celebre complesso vocale. Dopo la trasmissione del film, che portò comunque a casa sette milioni e mezzo di telespettatori, comparvero sui giornali altre critiche, ben più pregnanti, nelle quali si accusavano il regista e la co-sceneggiatrice Lidia Ravera di aver rappresentato tutti i più beceri luoghi comuni dell’armamentario antirazzista, compreso il mito del buon selvaggio. Nell’opinione di chi scrive si trattava solo di una piccola favola moderna, nella quale, con la leggerezza che lo distingue, e che mai e poi mai significa faciloneria, Gigi tentava di dare una sua risposta ai problemi dell’immigrazione, ben sapendo che si tratta di una risposta utopistica che può trovare il suo spazio solo nella fantasia. E forse, visto che nel periodo dell’uscita del film la figlia Susanna, allora impegnata a Londra in un corso di scenografia, gli ha fatto uno scherzo del genere (fonte Maurizio Costanzo), è stato anche una piccola seduta di autoanalisi.

 

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sistemando le masse

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insegnando i movimenti

da grande farò il regista!

con Ludgero Fortes Dos Santos (Mory)

con Georgianna Robertson (Aua)

con Eliana Miglio (Patrizia)

con Cristiana Capotondi (Valentina)

 

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