Per la serie in cinque puntate Romanzo
Popolare, di cui con ogni probabilità fa parte anche Le
tigri di Mompracem, Gregoretti adatta per la televisione anche il
romanzo fiume di 600 pagine I ladri dell'onore, di Carolina
Invernizio, antesignana dei fotoromanzi e, molti anni dopo, delle
telenovelas.
Sinteticamente, per quanto possibile,
la trama: nella Torino inizio '900 ci sono due madri, la ricca Sofia e la
povera e gobba Jane; e ci sono due figlie: Lorenza, figlia di Sofia, che
è cresciuta in un orfanotrofio, e Margherita, figlia di Jane, cresciuta
invece negli agi. Perchè tutto questo? Perchè il perfido Attilio Morra
(Gigi), marito di Sofia, che ha avuto Margherita con Jane (bel
coraggio...), ha sostituito nella culla con quest'ultima Lorenza, che
Sofia ha avuto invece da una relazione adulterina con tale Berto (oh
Madonna!), morto in circostanze misteriose. Lorenza (che il caso vuole si
incontri con Jane, e con lei formi un'alleanza di ferro) e Margherita si
disputano un giovinastro, tale Pietro Zanna, che, guarda caso, è nipote
del povero Berto. Questi riesce a portarsele a letto tutte e due, Lorenza
per sfizio e Margherita per sfilarle la dote, ma ha fatto i conti senza il
malefico Morra, che gli fa fare la stessa fine di Berto, riuscendo tra
l'altro a incastrare per l'omicidio Lorenza che va sotto processo.
Margherita porta in seno il figlio della colpa, e, costretta dal
cattivissimo padre, sposa un altro giovane. Lorenza, riconosciuta
innocente, si insinua come governante nella casa di Margherita, e subito
dopo il parto rapisce la neonata che sa essere figlia di Pietro Zanna.
Sofia (che giusto per ricordarvelo, è la madre di Lorenza, ma pensa di
essere madre di Margherita per la scellerataggine di Attilio) scopre in un
cassetto del marito la prova dello scambio di neonate nella culla, si reca
da Jane (che è, giusto per essere chiari, madre di Margherita, ma ha
"adottato" Lorenza) e insieme complottano la disfatta
dell'infame Attilio. Dopo che madri e figlie si sono finalmente ricomposte
nell'ordine giusto, Margherita, convenientemente, muore (anche perchè al
Mandrake le margherite je sfiorischeno...ah ah!). Il nefando (lo confesso,
al quinto sinonimo ho controllato il vocabolario) Attilio, quindi, colpito
dalla giustizia divina nel suo affetto più caro, disperato, cede alla
follia.
Come già per Le Tigri di
Mompracem,
Gregoretti trae spunto dall'indigeribile feuilleton per mescolare accuratissime
ricostruzioni d'ambiente con l'ironia e la dissacrazione che lo
contraddistinguono; e sottolinea l'inutile e ridicola enfasi che
appesantisce ulteriormente una storia di per sè ben complicata e gravata
per di più da un'insopportabile morale piccolo-borghese per la quale la
morte di Margherita, a ben guardare l'unica innocente di tutto il gruppo,
risolve ogni problema di mantenimento della facciata. Infine, senza che
per questo si trasformi in un pedante professorino, ci svela con affetto e
ammirazione la raffinatezza dei meccanismi messi in atto dalla Invernizio,
i cui complicatissimi canovacci, trasmessi di generazione in generazione,
hanno dato origine ai fotoromanzi (esilaranti i fermo immagine tipo Grandhotel
che punteggiano lo sceneggiato) e quindi alle telenovelas e alle soap
opera.
Gigi, dal canto suo, nella parte del
malvagio Attilio si e ci diverte un sacco e mezzo con un saggio di
recitazione straniata, ben più che sopra le righe, che ha il suo culmine
nell'espressione che potete ammirare qui di fianco.
Con Gregoretti Gigi ha lavorato anche
ne Il Circolo Pickwick (1968), Le
tigri di Mompracem (1974), Sabato sera
dalle nove alle dieci (1973), Caro
Petrolini (1979), Il Bugiardo
(1980)